Archivio della categoria: Filosofia

Marco Cecchini

08/06/2020

La calma …prima di tutto

“L’intuizione è la guida dell’anima, che si manifesta spontaneamente nell’essere umano nei momenti in cui la mente è calma. La mente umana, liberata dalle interferenze dell’irrequietezza, viene caricata di energia a seconda della forza di volontà posseduta da ciascun individuo.
Tutti i pensieri vibrano eternamente nel cosmo. I pensieri hanno radici universali, non individuali; una verità non può essere creata, ma solo percepita. La finalità della scienza dello yoga è di calmare la mente, affinché, senza distorsioni, essa possa rispecchiare la visione di Dio nell’universo.”
– Paramhansa Yogananda – Autobiografia di uno Yogi 

“La vostra natura è la calma. Avete indossato una maschera di irrequietezza, ossia l’inquietudine della vostra coscienza, che trae origine dagli stimoli dei sentimenti. Voi non siete la maschera, siete il puro e calmo Spirito.”
– Paramhansa Yogananda – Il Divino Romanzo

Come ci spiega Yogananda in queste citazioni, la calma è la qualità alla base di ogni aspirazione di crescita spirituale; la definisce addirittura come la finalità dello yoga. Le caratteristiche della calma in questione non hanno nulla a che vedere con una generica e ordinaria calma subcosciente indotta dalle circostanze esteriori (ad esempio una bella vacanza o un periodo di particolare tranquillità economica), ma al contrario la qualità della calma di cui parla Yogananda porta con se una carica evolutiva e dinamica, legata alle peculiarità di una mente la cui energia fluisce verso l’alto, stabilendosi in uno stato di elevata consapevolezza, definita da Swami Kriyananda come “Supercoscienza”:

“Tante persone hanno sperimentato momenti di intensa consapevolezza, scoprendo in quelle circostanze che la loro mente era particolarmente calma. Non posso immaginare un livello di consapevolezza di questo tipo in una mente irrequieta.”
– Swami Kriyananda –  Supercoscienza

La mente irrequieta dunque è destinata a rimanere lontana dalle percezioni più profonde legate alla nostra natura interiore. Yogananda usava questa metafora: “la luna si riflette allo stesso modo in tanti secchi d’acqua quanti ne mettiamo sotto la sua luce, ma solo in quelli in cui l’acqua è calma rifletterà nitidamente il suo splendore.”
Allo stesso modo la nostra mente può riflettere la luce della nostra anima solo quando essa è libera dall’irrequietezza.

Patanjali nei suoi Yoga Sutra, molti secoli fa, in quello che è considerato il più antico trattato di psicologia dello yoga, espresse questo concetto definendolo in sostanza l’essenza stessa dello yoga: “YOGAS CHITTA VRITTI NIRODHAH”. Sulla traduzione e interpretazione di questo sutra non c’è accordo unanime, ma esistono alcune sottili differenze. Per la maggior parte delle scuole di pensiero dello yoga la traduzione prevalente è “lo yoga è la cessazione delle fluttuazioni (vortici) della mente”. Yogananda lo traduce in “lo yoga è la neutralizzazione dei vortici del sentimento”. In sostanza l’azione dello yoga riporta i vortici (vritti) dei sentimenti duali (amore/odio, bello/brutto, buono/cattivo, ecc.) nel nostro centro animico (atma) neutralizzandoli ed elevando la percezione verso la nostra realtà ultima, lo stato primordiale ed autentico, che è unicamente di natura spirituale e definita dalla trinità “Sat-Cit-Ananda”, lo Spirito, il Brahman: eterna, onniscente, in sempre nuova beatitudine.

Coltivare la calma è dunque una necessità per qualunque ricercatore spirituale, ed è la base su cui costruisce il proprio percorso evolutivo. Le facoltà dell’intuizione, della concentrazione, della percezione della pace e dell’amore insito naturalmente nel cuore (Shradda) non sono nel nostro dominio se non nella calma. Quanto essa è più profonda tanto più le altre qualità e facoltà possono emergere.

Sri Shankara, considerato uno dei padri della filosofia advaita (filosofia yoga della non-dualità), affermò lo stretto legame tra la qualità della calma e la non-dualità nel mantra “Na punyam”, praticamente un inno alla disidentificazione da qualsiasi ruolo se non quello di anima immortale (Shivo am, io sono Spirito). Il canto di questo mantra ha in se il potere, attraverso l’affermazione della libertà da ogni maschera e ruolo, di nutrire e sviluppare un senso profondo di calma, e porta chi lo canta verso la comprensione della propria natura non-duale. Nel nostro sadhana (disciplina spirituale), prima della meditazione silenziosa, può essere un potente strumento per interiorizzare e calmare la mente, se cantato con profonda devozione.

Dunque, attraverso gli insegnamenti dei maestri realizzati, comprendiamo come il conquistare il trono della calma nel nostro cuore ci porta molto vicini alla nostra realtà più profonda.
La calma come veicolo verso la libertà dai condizionamenti, fuori dalle identificazioni limitanti, verso il nostro vero Sé, verso l’amore, verso Dio.

Marco Cecchini

06/06/2020

Le parole hanno il loro peso

Sarebbe bello poter cominciare a vedere un cambiamento nell’atteggiamento degli uomini nei confronti della vita e del proprio mondo. Sarebbe stato bello, ad esempio, vedere l’ONU promuovere la “giornata mondiale per il rispetto e l’amore per la donna” anzichè la “giornata mondiale contro la violenza sulle donne.” . Le parole hanno il loro peso: una frase che contiene le parole “rispetto” e “amore” ha un’energia molto diversa e suona molto diversamente nel nostro cuore e nella nostra mente rispetto ad una frase che contiene le parole “contro” e “violenza”.

A volte dimentichiamo che quello contro cui combattiamo deve essere sostituito da qualcos’altro, altrimenti non facciamo altro che mettere le basi della sua immediata rinascita. Se promuoviamo e incoraggiamo l’amore, questo sgioglierà e sostituirà la violenza, ma se promuoviamo qualcosa contro la violenza non succederà la stessa cosa, perchè il rischio è che ci accontentiamo di eliminare la violenza senza che essa venga rimpiazzata dall’amore, e allora la violenza avrà di nuovo il suo spazio per ripresentarsi. La parola “Amore” indica una direzione ben precisa, le parole “contro” e “violenza” indicano solo il caos.

Ahimsa

06/06/2020

L’accettazione all’ottava bassa

fonte: https://www.facebook.com/salvatorebrizzifanpage/posts/1669655156458195/

di Salvatore Brizzi

Chi fa un lavoro su di sé, sa che esistono due »ottave« di qualsiasi concetto e di qualsiasi emozione. Per esempio, esiste l’amore all’ottava bassa, che proviene dai centri inferiori e implica possesso e sofferenza, e poi c’è l’amore all’ottava alta, che proviene dai centri superiori e implica un cuore aperto e una comunione animica.
Medesimo discorso può esser fatto per il concetto di accettazione. Spesso si confonde l’accettazione all’ottava alta (non oppongo resistenza interiore a ciò che avviene, non giudico l’evento o la persona, vivo nel flusso) con l’accettazione all’ottava bassa (qualunque cosa succeda mi deve andar bene per forza, perché io sono un essere spirituale e gli esseri spirituali si comportano così).
La differenza consiste nel fatto che l’ottava alta implica sempre la capacità di cogliere l’evento da un punto di vista animico, non mentale, ossia al di là delle apparenze, per cui le nostre reazioni saranno una conseguenza spontanea di questa nuova visione. Il fatto di accettare qualcosa nel proprio cuore, non implica però che il nostro atteggiamento debba essere fatalista o che non possiamo mandare a stendere qualcuno. L’accettazione non è sinonimo di rassegnazione e passività; questa è “l’idea dell’accettazione”, non la sua realizzazione effettiva. In altre parole, non mi lascio rubare il portafogli solo perché “io sono nell’accettazione totale”.
Il mio invito di oggi è ad osservare quando state veramente accettando qualcuno o qualcosa e quando invece state recitando la parte della persona spirituale. Niente paura, fra un estremo e l’altro… c’è tutto il lavoro su di sé che intanto procede.

Ahimsa

05/06/2020

Che cos’è il Sangha?

fonte: https://it.anandaeurope.org/blog/2020/05/19/che-cose-il-sangha/

19 Maggio, 2020

by Darshan Lotichius

Fin dagli albori di Ananda, e anche prima, Swami Kriyananda sapeva di stare manifestando una nuova espressione della religione, la Realizzazione del Sé, che Yogananda considerava appropriata a questa nuova era di consapevolezza energetica. La definizione che Swami diede a questo processo deve essergli stata chiara fin dall’inizio: spiritualità libera di fluire, coerente con gli antichi insegnamenti della disciplina e filosofia yogica, così come insegnata dal suo Guru, e applicabile in tutti gli ambiti della vita quotidiana; contenuti piuttosto che forma; rinuncia con enfasi sulla trascendenza dell’ego piuttosto che sulla sua soppressione.

Ma quale nome, quale denominazione poteva includere tutto questo?
Certo, Realizzazione del Sè e Ananda sono parole fondamentali sul sentiero spirituale, ma si riferiscono alla crescita interiore e individuale piuttosto che essere una definizione sociale che possa rappresentare una nuova espressione della religione nel mondo.

E’ Ananda un gruppo di comunità? Ma allora le migliaia di persone in tutto il mondo che non vivono nelle comunità Ananda, ma comunque si sentono in sintonia con il particolare raggio di Ananda?
E’ una chiesa? Negli Stati Uniti, dove chiunque può fondare una nuova religione, Ananda ha questo riconoscimento giuridico, che rende più facile alle persone l’associazione sociale e finanziaria. Ma in luoghi come l’India o l’Europa, la parola “chiesa” viene facilmente associata ad una religione in vecchio stile ed anche a soppressione coloniale.

E’ un’organizzazione? Come in ogni movimento sociale, l’organizzazione è importante anche ad Ananda, ma è considerata sempre un mezzo per condividere gli insegnamenti e le vibrazioni di Yogananda con i ricercatori spirituali di tutto il mondo.

La parola “movimento” si avvicina, ma i moventi, letterari o politici, hanno generalmente vita breve e legata alle mode: non c’è una connessione duratura con le essenziali realtà della coscienza umana.

La parola finale che emerse e che ancora oggi rimane intoccato, fu Sangha, che significa “compagnia”, ma che può essere anche tradotta come “famiglia”: una nuova concezione di famiglia, non più fondata sui legami biologici, ma su di un senso di riconoscimento intuitivo delle affinità dell’anima e ideali condivisi. Ananda Sangha così, significa amicizia nella beatitudine e per la beatitudine.

Nayaswami Asha, nella biografia da lei scritta su Swami, racconta la storia di come, nel 2003 durante una vacanza in Kerala, Swami si svegliò alle 3:00 del mattino con idee così potenti e con una tale forza, che dovette alzarsi immediatamente e iniziare a scrivere.

Il prodotto della sua penna, Swami lo chiamò La via del Sanghi. Puoi leggere questo articolo qui. Possano queste affermazioni ispirarti ad esplorare la beatitudine del tuo essere e possano esse stimolare il coraggio delle tue convinzioni più profonde!

Darshan